Le persone che giungono allo studio di un terapeuta sono tutte afflitte da sofferenze vissute come invalicabili. Il compito del terapeuta è quello di mostrare la sofferenza all’interno di una narrazione che faccia comprendere alla persona i motivi del suo dolore e i conflitti che si agitano al suo interno. Le sue passioni tristi, portate alla luce della consapevolezza, rendono comprensibile il disagio e i suoi motivi. Concluso il percorso conoscitivo, la prima domanda che pone la persona è “come fare”. In sostanza, è come se dicesse “ora che so perché, mi preoccupa il “come” riuscire ad andare oltre, come riuscire a trasformare”.
Questo è un punto cruciale. E’ l’indicatore fondamentale di una terapia più o meno veloce, più o meno efficace.
La sofferenza, ogni sofferenza, ha origine da un trauma.
Ogni trauma ha un calibro diverso, un peso specifico suo proprio che rende ogni sofferenza differente dall’altra. Ogni disagio è frutto di una complessità mai esauribile in pochi passaggi ma, piuttosto, sempre articolabile in un labirinto di ipotesi.
La differenza sostanziale è nella determinazione alla guarigione che la persona esprime fin dall’inizio, attraverso l’adesione al compito proposto dal terapeuta. In sostanza, il terapeuta indica la strada e la persona si mette in cammino.
Naturalmente gli ostacoli sono tanti, ce ne sono interni, ce ne sono esterni, perciò la determinazione è fondamentale.
Tra gli ostacoli interni, il più potente ha a che fare con l”attaccamento alla sofferenza che diventa, essa stessa, la zona di confort della persona e ciò che le fornisce identità.
Altro ostacolo è rappresentato dalle convinzioni della persona e dalla indisponibilità a mettersi in una prospettiva differente dalla propria: essere ostinatamente aggrappati a ciò che si sa, senza mai metterlo in dubbio. E’ la persona che obietta sempre e che inizia ogni frase con “sì, ma”, “sì, però”, non si fida; la ferita che lo riguarda e che lo muove nella vita, ha talvolta a che fare con l’indisponibilità dell’altro che avrebbe dovuto prendersi cura di lui/lei.
Tra gli ostacoli esterni, molto spesso, familiari più o meno consapevoli, innescano dinamiche che lavorano in opposizione alla terapia: quando la paura del cambiamento di un suo membro è vissuto come minaccia allo status quo familiare.
Quanti ostacoli! Ciò, solo perché si desidera essere in salute, essere felici.
Per tutti questi motivi, la terapia psicologica non può condurre la persona dove lei stessa non vuole andare e, spesso, neanche la terapia farmacologica risulta efficace in casi tanto ostinati.
Così, capita che queste persone cambino spesso terapeuta, cercano fuori quel cambiamento che non riescono a realizzare al loro interno.
Completamente differenti sono gli esiti di una persona che decide di affidarsi, che aderisce e segue le indicazioni del terapeuta che, soprattutto, “agisce” e, nell’azione sperimenta nuovi modi che diventano, a loro volta, fonte di ispirazione di cambiamenti promettenti. Queste persone individuano nel cammino, passo dopo passo, la metafora cui ispirarsi e la guida a cui affidarsi anche dopo la conclusione della terapia.
Un terapeuta, talvolta, può lasciarsi lusingare dall’osservare un cambiamento e un accresciuto benessere nella persona che a lui/lei si è affidata; tuttavia, resta vigile sui fallimenti, perché sono quelli che attivano la ricerca, lo studio, il desiderio di sperimentare nuove vie di guarigione.