Questa mattina voglio rispondere ad una giovane donna che ieri sera mi ha posto la domanda se avessi “qualche consiglio per uscire da uno stato di indifferenza verso le cose e le persone, per sentire qualcosa in più”.
Questo quesito mi ha fatto riflettere su più cose. Come al solito la complessità domina il campo e la linearità (a cui in tanti si ispirano) è frutto dell’inconsapevolezza del tempo presente.
Dico questo perché sarebbe facile ricorrere alla semplificazione categoriale per cui una sorta di “anestesia” rientrerebbe in certi disturbi o patologie. Mi piace, invece, e trovo più interessante riflettere sulla “paralisi dei sensi” a cui nessuno oggi, chi più chi meno, può sottrarsi.
Il fatto è che la “patologia” non è solo dentro il corpo e la mente, la patologia è anche fuori, agli angoli delle strade che percorriamo quotidianamente, negli sguardi delle persone che incontriamo, nelle azioni che mettiamo, nei giudizi che esprimiamo.
Se “non sento” mi proteggo! Talvolta questa strategia funziona, altre volte ne sentiamo il peso, com’è accaduto alla nostra giovane donna.
“Sentire” però non può farsi a comando, bisogna rischiare e accettare che possiamo schiantarci.
Intanto, però, possiamo affondare i piedi nella terra, tenere le mani sotto l’acqua gelata, camminare in silenzio in un bosco. Allenarci a “fare anima”.
Cara giovane donna, poni una questione fondamentale!
Quante persone saprebbero rispondere con disinvoltura alla tua domanda?
Fai la prova!
Io ti capisco e profondamente approvo la tua ricerca. SENTIRE è uguale a VIVERE una qualità diversa della vita, perciò il tuo desiderio è forte e mi auguro instancabile la tua ricerca.