Al tempo dei social ogni cosa appare semplice e a portata di mano: dimagrire, allenarsi, organizzare una festa, un matrimonio e così via.
Andrebbe bene, se non fosse che abbiamo bisogno che qualcuno ci dica sempre come farlo.
Tanti post e tanti video ci dicono come, quando, dove.
Tante professioni sono nate in virtù di questa collettiva incapacità o dal dis-apprendimento di ciò che un tempo per necessità o per virtù ci risultava naturale.
Se vogliamo, questa incapacitazione è iniziata molto precocemente nella storia dell’umanità, a partire dall’atto del “delegare”: altri individui venivano ritenuti più idonei a svolgere delle attività perché erano realmente dotati di qualità non comuni e, per questo, divenivano guide, guaritori, mentori, riferimenti corposi di saperi e di umanità. La storia è ricca di questi personaggi che, ancora oggi (in maniera sorprendente), orientano milioni di “persone in cammino”.
Non voglio tanto soffermarmi sulla “delega” che, mi sembra cosa legittima se fondata sulla competenza, sull’approfondimento di saperi, sull’etica; voglio, invece, riflettere sulla “misura” che, forse, abbiamo perso.
Mi sembra inquietante la quantità di soluzioni presentate, le trovo sovrabbondanti e confusive, la quantità di video, di messaggi promozionali, tutti incentrati su rapide soluzioni di problemi e difficoltà, tutti superabili senza sforzo.
Il “tocca e fuggi” può essere d’aiuto a qualcuno ma non regge al fluire del tempo che, inesorabile, ci riporta al punto di partenza.
Ecco che torna la “misura” in opposizione al troppo indiscriminato.
Quello che voglio affermare con forza è che la “delega” va bene se il delegato ha corpo e struttura, cioè è degno ed è persona “retta” e che, questo tempo, ci espone invece a molti ingannevoli messaggi ben preparati ma di poca sostanza e che fanno leva sulla rapidità con cui è possibile raggiungere l’obiettivo prefissato e sempre con poco sforzo.
Inoltre, ritengo che prima ancora di delegare, sarebbe importante chiedersi se possiamo impegnarci in prima persona in quell’attività che saremmo orientati a demandare ad altri. E’ il “mercato” che induce in noi nuovi e più complessi bisogni e ci fa credere che sono indispensabili.
Insomma, un atto creativo di ascolto di sé in cui è possibile inventarsi e arricchirsi di competenze nuove.
Non voglio sminuire queste professioni, ci saranno tante persone che fanno tutto questo con impegno e competenza. Mi fa impensierire la “delega non ragionata” che si trasforma in una incapacitazione, nell’assenza di un pensiero critico che si trasforma nel fare “come fan tutti”, nella mancanza di immaginazione.