Il vissuto d’ansia è trasversale a molti disturbi e pertanto spesso si associa a patologie complesse di cui rappresenta solo la punta dell’iceberg.
L’ansia può essere di diverso tipo, può essere legata al timore per un luogo specifico, oppure per un animale, oppure può essere legata ad una situazione e ad un contesto specifici, oppure può riguardare la relazione con altri soggetti, come nel caso dell’ansia sociale, oppure può essere una condizione generale e pervasiva per la quale la persona si trova in una condizione di attivazione e preoccupazione costanti e senza un oggetto specifico che suscita la condizione di allarme. Insomma, chi ne soffre, riferisce una molteplicità di sintomi che possono essere più o meno sfumati, più o meno pervasivi, più o meno invalidanti: battito accelerato, sudorazione, irrequietezza alle gambe e paura che non reggano il corpo, pesantezza alla testa, deconcentrazione, vertigini.
Questi sintomi spaventano la persona che comincia a produrre pensieri negativi sulla propria salute e questo, all’estremo, genera un peggioramento immediato degli stessi che possono giungere a diventare panico in cui il soggetto, vive una sensazione di catastrofe imminente e di impotenza. La perdita di controllo che la persona sperimenta spesso è così intensa da generare gli effetti di un disturbo post traumatico: la mente ripercorre continuamente l’episodio vissuto e comincia a percepirsi vulnerabile, impotente, fragile. Col tempo, è possibile che il soggetto sviluppi evitamenti e desideri essere accompagnato anche per cose semplici come andare al supermercato.
Nei casi più complessi, uscire di casa può causare molto stress e fatica. A questo punto, l’elemento cruciale, diventano i pensieri, le aspettative, le credenze e le convinzioni che cominciano a strutturarsi nella persona circa la possibilità di far fronte ad eventuali crisi successive. In genere, la soluzione più semplice che il soggetto trova, è evitare le situazioni ansiogene, mentre da un punto di vista cognitivo, comincia a sviluppare una profonda avversione verso di sè e la propria fragilità, tanto che comincia a separare se stessa in “come era prima” e “come è dopo l’episodio d’ansia”.
Questa frattura idealizza il “prima” e svaluta il presente tanto che, anche nel lavoro terapeutico, la persona ritorna continuamente al “tempo felice” in cui riusciva a fare tutto e si sentiva libera di fare e di andare.
È molto importante intervenire subito, prima che si strutturino pensieri disfunzionali e credenze distruttive. L’evidenza è osservabile clinicamente dai tempi di risoluzione del problema d’ansia. Naturalmente, l’ansia, come abbiamo detto all’inizio dell’articolo, può essere la punta dell’iceberg di un disturbo più complesso e articolato di cui, in tal caso, bisognerà farsi carico in una psicoterapia più a lungo termine.
Va segnalato, inoltre, che vivere una condizione di allarme generalizzato, per cui la persona si spaventa di ogni cosa deve affrontare, soprattutto delle cose che non sono routinarie, può generare come effetto secondario un abbassamento dell’umore; anche questo, se non circoscritto, può produrre una caduta depressiva.
Altro elemento fondamentale relativamente al vissuto d’ansia, è che oggi, tutto intorno a noi, è ansiogeno, cioè può produrre stati di allarme psicologico. Il numero delle persone che soffrono d’ansia sta crescendo e questo dato sta aumentando progressivamente nella popolazione. La condizione di stress ambientale, senza che noi ne siamo consapevoli, soprattutto nei soggetti sensibili a uno sviluppo depressogeno, può causare una condizione di allarme cronico; la produzione di cortisolo, in questi casi, accresce le tensioni e i vissuti di inadeguatezza.
Per questo motivo, oggi si insiste molto sul prendersi cura di sè attraverso pratiche meditative di mindfulness che rafforzano le difese personali e proteggono dall’attivazione cronica dell’asse ipotalamico-ipofisario-surrenalico (HPA).
Quando le persone giungono in terapia per affrontare il disturbo d’ansia è molto importante far comprendere che i sintomi hanno una funzione di “segnale”. È come se sul cruscotto dell’auto si accende una spia che segnala un guasto. La “spia-segnale” è molto utile perché senza quell’indicatore chiaro ed evidente di un guasto, non porteremmo l’auto dal meccanico e continueremmo a camminare producendo guasti maggiori; al contrario, un intervento tempestivo ed efficace può evitare ulteriori complicazioni.
Inoltre, quando l’intervento terapeutico si confronta con una storia breve di sofferenza e con poche memorie legate al vissuto d’ansia, è più facile ri-definire i pensieri disfunzionali e far fare al soggetto esperienze correttive.
Infatti, è importante che la persona riprenda a sperimentarsi anche con avvicinamenti progressivi alla situazione temuta: basta con gli evitamenti e con l’avversione!
In questa nuova immersione nella vita, la persona non è aiutata da coloro che la spingono “al fare” chiedendole di essere forte, coraggiosa e di usare la volontà come risorsa; purtroppo molto spesso la volontà non basta da sola e, invece, è molto utile un aiuto psicologico anche psico-educativo, che spieghi al soggetto il funzionamento della mente e renda comprensibile cosa sta succedendo e il perché. Dunque, è necessario inserire il sintomo d’ansia in una narrazione che renda comprensibile alla persona perché il disturbo si è presentato e quello che è necessario fare per uscire fuori dal tunnel.
L’ansia ti è amica
se comprendi l’utilità del sintomo e provi a conoscerlo meglio.
Al contrario
la contrasti con determinazione;
la odi con rabbia;
la prendi a calci con ostinazione perché la vorresti eliminare dalla tua vita;
parli di te con disprezzo perché la volontà non basta a liberartene;
la tieni nascosta perché te ne vergogni;
le limitazioni a cui ti costringe ti dispongono continuamente al confronto di come eri prima e di come sei adesso: libera di andare prima; ora, costretta a luoghi sicuri, ma privi di vita;
non la vorresti ma ormai sai che più la ostacoli, più si fa presente con forza.
Eppure
ti segnala che ci sono cose che non vanno;
ti porta a riflettere su te stesso/a;
ti consente di mettere a fuoco la tua storia
e ti fa comprendere il perché del tuo malessere;
ti costringe a vederti dall’interno e a intraprendere un viaggio di conoscenza e di crescita personale.
Articolo scritto dalla dott.ssa Antonietta Lapegna sulla base degli studi condotti e della esperienza clinica.