Oggi dei disturbi alimentari si parla molto; nelle forme più gravi essi si manifestano in tutta la loro complessità anche all’occhio della persona inesperta: vedere una persona troppo magra o troppo in sovrappeso ci fa pensare subito ad un problema dell’alimentazione; nei casi meno visibili spesso si vive in prima persona il disagio della dieta perenne o delle tentazioni irrefrenabili di un’alimentazione fuori controllo.
Queste sono cose ormai ben note, tuttavia, sono molte le persone che vivono un disagio di questo tipo senza riuscire ad andare oltre. E’ evidente, allora, che entrano in gioco fattori cognitivi simili a quelli che contribuiscono a generare altri problemi del comportamento e disturbi emotivi, per il trattamento dei quali la terapia cognitiva si è dimostrata utile ed efficace.
Ad esempio, uno degli aspetti che viene solitamente sottovalutato è il ruolo giocato dalle credenze distorte e dai pensieri automatici negativi. Inoltre, la prima caratteristica cognitiva dei soggetti affetti da disturbi dell’alimentazione è considerata l’eccessiva preoccupazione per il peso e le forme corporee; la seconda caratteristica viene chiamata “deficit del concetto di sé”, cioè una valutazione negativa di sé precede molto spesso di molti anni la comparsa del disturbo. Altre caratteristiche generali sono il perfezionismo, il pensiero “tutto o nulla”, l’impulsività, un più ampio deficit di autoconsapevolezza.
Oltre al trattamento cognitivo comportamentale, nel corso degli ultimi anni sono stati effettuati vari studi circa i benefici della pratica di meditazione di consapevolezza all’interno di alcuni trattamenti di cura per i disturbi dell’alimentazione. E’ stato individuato un protocollo terapeutico basato sulla Mindfulness.
Tale approccio “… non si propone il controllo dei pensieri o la sostituzione delle immagini negative del passato, del presente o del futuro con immagini positive, ma incoraggia i pazienti a permettere a questi sentimenti di delusione e di rimpianto semplicemente di esserci” (MBCT, Segal, Williams, & Teasdale, 2002).
Il programma MBEAT prevede 10 sessioni di gruppo durante le quali vengono affrontati i temi inerenti alle emozioni, alla possibilità di accettare e gestire alcune emozioni quali la rabbia e il senso di colpa; vengono svolti esercizi di meditazione consapevole sull’alimentazione, sul senso di fame e sazietà, sulla scelta degli alimenti, sulle sensazioni che possono scaturire attraverso il cibo e il gusto.
Ciascun incontro prevede una pratica meditativa, la condivisione, la discussione dei temi e l’assegnazione di compiti da svolgere a casa che riguardano per lo più la pratica formale e informale e il pasto consapevole. La pratica della mindfulness, all’interno dei protocolli di trattamento di salute mentale, viene insegnata indipendentemente dalle sue tradizioni religiose e culturali (Kabat-Zinn, 1982, 2003; Linehan, 1993b). Benché, infatti, la mindfulness sia l’aspetto centrale delle pratiche buddhiste di meditazione, la sua essenza è universale, ed è in grado di essere concretamente d’aiuto per le persone che soffrono senza per questo richiedere un loro coinvolgimento nella religione buddhista o l’adesione a una qualsiasi altra fede religiosa.
Ciascun partecipante utilizza un CD di supporto alla pratica.
Gli ultimi incontri sono caratterizzati da una riflessione sulle possibili scivolate e dunque alla prevenzione delle ricadute oltre che al confronto sui cambiamenti e i risultati raggiunti.