Sempre più spesso mi capita di assistere al FASTIDIO dell’altro.
Detto così è ambiguo e strambo.
In realtà, voglio dire, che la parola “fastidio” entra sempre più spesso nelle narrazioni di chi parla di sé.
L’espressione che ne segue è un misto di rabbia e tristezza; la persona, può sbuffare e/o esprimere insoddisfazione, irrequietezza, gli occhi possono riempirsi di lacrime.
È un fenomeno spesso giovanile, l’insofferenza è rivolta al tempo che passa e al timore di perdersi pezzi importanti di vita.
Le cose non vanno come si sarebbe voluto e all’interno si scatena la rissa tra quello che si era progettato e quello che la realtà pone davanti.
Che sfiga! È l’espressione più frequentemente ascoltata e ha sempre a che fare con una idealizzazione o una svalutazione di sé.
Mi vengono in mente storie diverse.
Paura di non essere all’altezza, provare vergogna, rabbia, tristezza, in successione una dopo l’altra; poi giunge il fastidio, poi lo sbuffo, ed il verbale sembra pronto a dire “perché, perché proprio a me, perché deve succedermi questo!”
Altra storia, altro giro.
Immaginarsi da sempre capace di cose grandi, o anche insolite e bizzarre che mettano in evidenza la propria diversità dal volgo, perché piacciono e anche perché distinguono e anche perché capaci di sedurre l’altro, di suscitarne l’ammirazione.
Poi accade qualcosa che impedisce la realizzazione dell’inconsapevole piano.
Di nuovo rabbia, tristezza, fastidio, avversione.
“Perché proprio a me”, sento tra le righe, e la rigidità impietosa di chi non riesce a misurarsi con la realtà prorompe invadendo argini ed equilibri.
La giovane età si misura sempre con l’eccesso.
Per l’adulto è diverso, se prova fastidio con questa intensità sta vivendo un momento regressivo, torna indietro al momento del capriccio; se la prende con la vita o anche con la persona più vicina, capro espiatorio che ha il compito inconsapevole di moderare e contenere la rabbia dell’altro.
Nei casi migliori l’adulto è già passato attraverso numerose esperienze che gli hanno insegnato l’arte del vivere e prima di tutto lo hanno ammorbidito.
Pochi quelli che non sono caduti, tanti quelli che si sono rialzati, hanno compiuto la loro personale rivoluzione umana e ce l’hanno fatta, hanno avuto coraggio, sono stati pazienti. Quando hanno pensato “perché proprio a me”, l’esame di realtà l’ha guidati alla flessibilità e hanno sostituito l’impotenza con la potenza del fare con le cose che c’erano; hanno smesso di fantasticare sulla vita e hanno guardato alla concretezza del momento presente senza sentirsi sconfitti.