Molte persone mi chiedono perché certi sintomi si ripresentano.
Questa curiosità, guarda caso, è rivolta soprattutto ai sintomi psicologici.
Il fatto è che, per molti, è più facile accettare un disturbo fisico, piuttosto che mentale.
Può svilupparsi una avversione profonda contro uno stato depressivo o contro uno stato ansioso, molto più intensa che nei confronti di una grave malattia fisica.
Voglio dire che, nei confronti di quest’ultima, è paradossalmente più facile sviluppare accettazione e pazienza.
Ogni volta la persona vuole liberarsi subito dal sintomo, poco le importa del significato che quel “segno” può avere nel complesso della sua vita.
Siamo educati a pensare alla psiche come ad aria fritta e la psiche si prende la sua rivincita portandosi all’attenzione della persona a volte con violenza.
La visione organicista ha condizionato il nostro modo di considerare la vita, gli stessi medici (di base) ancora oggi, di fronte a sintomi vistosamente di natura psicologica, se la cavano sbrigativamente consigliando una maggiore calma o al più suggerendo un blando ansiolitico, difficilmente consigliano una consulenza psicologica.
Per questi motivi, quando una persona mi pone la domanda iniziale, del perché certi sintomi ritornano, per far comprendere meglio, utilizzo la metafora organica, perché per tutti risulta più facile da capire. Dico loro che, come per chi soffre di mal di testa, si creano nel corpo dei canali preferenziali, quando si avviano certe dinamiche interne, si attiva sempre lo stesso flusso di informazioni e le energie che si producono si scaricano, in un certo senso, sempre nello stesso posto, in questo caso, con cefalea, emicrania, ecc. Questo è il primo passaggio, una sorta di consapevolezza semplificata, nel tentativo di fare un po’ di ordine e alleggerire dalla paura la persona spaventata dal fatto che quei sintomi non passeranno mai.
Tutti, nessuno escluso, abbiamo canali preferenziali, perché tutti, prima o poi, abbiamo sintomi nel corpo che ci parlano di noi, da cui imparare a conoscere meglio noi stessi.
Il lavoro duro è quello di comprendere le ragioni del sintomo e collocarlo all’interno della narrazione personale.