Dal Canone buddista, la Metafora della freccia
L’Universo è eterno o non è eterno?
L’Universo è finito o è infinito?
Il corpo è un’altra cosa dall’anima?
Il liberato esiste dopo la morte o non esiste più dopo la morte?
Oppure, allo stesso tempo, esiste o non esiste?
Il Beato (il Buddha), non mi ha risolto questi problemi.
La risposta del Buddha è questa:
ti ho mai detto che vieni da me e io ti spiegherò questi problemi?
Nossignore!
Supponi che un uomo sia colpito da una freccia avvelenata e che i suoi amici e parenti lo portino da un chirurgo.
Supponi che l’uomo dica: “Non voglio che mi si tolga questa freccia finchè non so chi mi ha colpito, di che casta è, qual è il suo nome e quello della sua famiglia, se è alto o basso o di statura media, se la sua carnagione è nera, bruna o dorata, da quale villaggio egli proviene. Inoltre non voglio che mi si tolga questa freccia, fintanto che non conosco il tipo di arco con cui è stata tirata e il tipo di corda che ha teso la freccia prima di colpirmi”.
Quell’uomo morirebbe prima di conoscere anche solo una di queste cose.
Questa metafora della freccia pone l’attenzione sul buddismo come filosofia
pragmatica.
L’obiettivo è accompagnare la persona verso la liberazione.
La cosa più importante non è interrogarsi sulla realtà per il gusto di sapere le cose, ma è riuscire a trovare strumenti efficaci per giungere alla liberazione.
Quando il Buddha veniva interrogato su questioni metafisiche, rispondeva spesso con il silenzio che, nella retorica indiana, è una regola quando le domande sono mal poste e, pertanto, non sono utili ad accelerare il cammino verso la liberazione e, al contrario, impegnano le energie della persona su questioni inutili che non aiutano a raggiungere la meta del risveglio.
Dal Canone buddista – Il discorso della freccia (estratto).
Il Beato disse:
“O monaci, l’uomo ordinario quando viene toccato da una sensazione dolorosa
soffre, si affligge, si lamenta, piange battendosi il petto, entra in uno stato di grande confusione, egli sperimenta due tipi di sensazione una corporea e una mentale.
E’ come se, o monaci, un uomo fosse colpito da una freccia e subito dopo fosse colpito da un’altra freccia, così che, o monaci, egli percepirebbe il dolore di due frecce.
Percependo quella sensazione dolorosa, quell’uomo prova avversione verso di essa, provando avversione verso la sensazione dolorosa in lui la tendenza all’avversione nei confronti della sensazione dolorosa si accresce. Toccato da quella sensazione dolorosa quell’uomo cerca gratificazione nei piaceri sensoriali.
Perché questo?
Perché, o monaci, l’uomo ordinario che non ha ricevuto insegnamenti spirituali, non conosce scappatoia alcuna alla sensazione dolorosa, eccetto il piacere sensoriale.
Se quest’uomo percepisce una sensazione piacevole, si identifica con essa, se percepisce una sensazione spiacevole, la percepisce identificato con essa, se percepisce una sensazione né piacevole, né spiacevole, la percepisce identificato con essa.
O monaci, quando il nobile discepolo ha ricevuto gli insegnamenti spirituali e viene toccato da una sensazione dolorosa, egli non soffre, non si affligge, non piange battendosi il petto, non entra in uno stato di grande confusione.
Egli sperimenta un solo tipo di sensazione, la sensazione corporea e non quella mentale.
E’ come se, o monaci, un uomo fosse colpito da una freccia e, subito dopo, egli non fosse colpito da un’altra freccia, cosi che, quest’uomo, o monaci, percepirebbe il dolore di una sola freccia.
Se egli percepisce una sensazione piacevole, egli non la percepisce identificandosi con essa, se percepisce una sensazione spiacevole, non la percepisce identificato con essa, se percepisce una sensazione né piacevole, né spiacevole, non la percepisce identificato con essa.
In un essere che abbia realizzato gli insegnamenti spirituali, le cose desiderate non turbano la mente, quelle indesiderate non turbano la mente. Attrazione e repulsione, per lui, sono disperse, hanno raggiunto la loro fine, non esistono.
A questo proposito Thich Nhat Hanh commentando questa metafora, afferma che “tutti dovrebbero praticare in modo da impedire che si manifesti la seconda freccia e quindi soffrire meno”.