Bellissimo film che si presta a riflessioni psicologiche e non solo.
Scritto e diretto da Paul Thomas Anderson con un cast d’eccezione che mette insieme Joaquin Phoenix, Philip Seymour, Amy Adams e molti altri di pari livello, è ambientato negli anni ’50.
Racconta la storia di Freddie Quell (Joaquin Phoenix) rientrato dalla guerra in condizioni psicologiche precarie, beve, è impulsivo, violento, fissato per il sesso, perde continuamente il lavoro e non ha una famiglia a cui tornare. Incontra per caso Lancaster Dood (Philip Seymour) fondatore di un movimento che chiama “la causa”. Lancaster si definisce scienziato, medico e scrittore, ha una sua teoria su come curare le persone affette da disturbi psichici e decide di sperimentarla su Freddie che, un po’ alla volta, diviene un membro del movimento. Tra i due si stabilisce un rapporto molto intenso, Lancaster è “il maestro”, il mentore, la guida di Freddie. Il discepolo è fragile e influenzabile da una personalità forte come quella del “maestro” e un po’ alla volta le dinamiche tra i due protagonisti appaiono morbose così come appaiono inquietanti e ambivalenti le relazioni che Lancaster intrattiene con i suoi seguaci.
Il film mostra un Phoenix meraviglioso nel ruolo di Freddie che esprime, magistralmente, tutte le perturbazioni della mente e ce le fa vedere in azione. Il legame che si crea tra discepolo e maestro è intenso e per quest’ultimo risalirebbe ad una vita precedente il loro incontro. Ad un tratto però, succede qualcosa e Freddie, durante un esercizio che il maestro gli propone, si allontana e scompare. Va altrove, in un luogo dove comincia a sperimentare se stesso senza sostegno alcuno.
Fa pensare al figlio che, pur riconoscendo al padre di averlo portato alla vita, deve poi liberarsene per proseguire in solitudine il proprio cammino evolutivo. Dunque, la cura del maestro ha funzionato, almeno in parte.
E’ Lancaster che lo cerca e gli chiede di ritornare, lo richiama alla casa del padre e al dovere, alla responsabilità che sempre lega un figlio al genitore. Chiede al figlio di pagare il suo tributo alla generosità del padre e di restare fedele alla causa, pena l’esclusione definitiva dalla comunità. I due si guardano, entrambi hanno occhi pieni di lacrime, che parlano di amore e di doveri, entrambi sanno come andrà a finire. Come in tutte le storie di amore e di trasformazione c’è chi resta e c’è chi “deve” andare.
Il film si chiude con Freddie che rimorchia una giovane donna in un bar; mentre sono a letto, gioca con lei e le parla utilizzando espressioni del padre. Il genitore interiorizzato è evidente nel tentativo del figlio di imitarlo, suo malgrado, se ne allontana, restando vicino. Ma questa vicinanza è sana espressione di un cambiamento che si è potuto realizzare proprio a partire dalla sicurezza di un luogo a cui tornare.