Ci sono persone che fanno vanto di dire sempre la verità.
Caratteristica tipica del bambino.
A chi non è accaduto di dire al proprio figlio di non dire una cosa perché sarebbe risultata sgradevole e, invece, lo ha ascoltato candidamente affermare quella cosa che voleva tenere nascosta.
I bambini fanno così!
L’impulso a parlare non sanno ancora modularlo, sono senza filtri, in loro prevalgono altre dinamiche, ad esempio, quella egocentrica. Amano sentirsi al centro dell’attenzione e per questo tutto può essere sacrificato.
Si dice, infatti, “se vuoi la verità chiedila al bambino”.
Non lo fanno per dispiacere all’altro, sono fatti così.
Per l’adulto è diverso, molte cose entrano in gioco, pensieri spesso distorti dalle convinzioni accumulate nel corso degli anni.
Ci si vanta di una immediatezza verbale che risponde a bisogni profondi e che spesso non ha a che fare con ciò che è bene per l’altro a cui è indirizzata l’ostentata “verità”.
Voglio dire che “la verità” è un concetto per nulla esente da complicazioni e complessità e che spesso l’unico modo per comprenderne il senso profondo è collegarlo a “ciò che è bene per l’altro”.
Il suo opposto, pertanto, non può essere considerato “menzogna” se non quando è orientato al “male per l’altro” inflitto volontariamente e con leggerezza e senza riflettere, come farebbe un bambino.
Insomma, trattare la verità o la sua assenza in modo rigido e monolitico non rende ragione della complessità del fenomeno stesso.
Ponderare, valutare senza giudizio, con animo aperto e disponibile ad accogliere la complessità della vita a favore di una visione orientata al bene dell’altro, potrebbe essere un modo per misurare parole difficili che segnano e feriscono.